Origine di Sant’Appiano: approfondimento sulla figura del santo e dei luoghi collegati

Le colonne di fronte alla chiesa di Sant'Appiano

Questa ricerca è un approfondimento sulla storia di un santo “senza nome” e su una chiesa, anzi due chiese: la prima, era in origine un sacrario pagano convertito in un luogo di culto cristiano, sul quale fu poi eretto il battistero, e la seconda è l’attuale chiesa protoromanica di Sant’Appiano, citata per la prima volta nel 990 tra i possedimenti del vescovo fiorentino.
Persistono dubbi sull’identità del Santo protettore, Appiano, le cui reliquie sono ancora esposte nella chiesa e la questione risulta aggravata da un fatto oltraggioso avvenuto nella biblioteca del convento francescano di San Lucchese a Poggibonsi.

Giuseppe Maria Brocchi (1752) presbitero fiorentino, racconta che nella prima metà del XVII secolo, fu strappata da un messale la pagina che conteneva proprio la festività di Sant’Appiano, con tanto diriferimenti agiografici. Quel testo avrebbe potuto chiarire in quale epoca fosse vissuto il Santo e quali fossero le sue qualità, dato che di santi Appiano ce ne sono almeno cinque, le cui vite sono state spesso confuse e intrecciate tra loro.

Si tratta di agiografie brevissime, quasi telegrafiche. Sicuramente tre di loro sono passati dalla Liguria ed è proprio lì che s’intrecciano le loro storie e chissà se, a fronte di biografie diverse, proprio le origini comuni, riconducano al medesimo individuo, sul quale sono state ricamate svariate vicende.

Sant’Appiano (o Amphianus) martire di Cesarea Marittima

Israele

Piccola raffigurazione di Sant'Appiano di Cesarea Marittima

Morto nel 306, si festeggia il 2 aprile.
Al tempo dell’imperatore Massimino si veneravano ancora gli idoli con ritopubblico. Un giorno Appiano, di fede cristiana, si avvicinò al governatore Urbano e bloccò il suo braccio destro durante le cerimonie pagane, ma i soldati lo catturarono e, legatogli i piedi con un panno di lino intriso d’olio e dato alle fiamme, lo gettarono ancora vivo in mare. Ovviamente, da martire difensore della fede cristiana, non sofferse e subito ascese al cielo.

Sant’Appiano vescovo e martire di Sagona

Sagone, Corsica

Foto delle Ruderi della cattedrale di Saint-Appien a Sagone

Si festeggia il 19 gennaio.
Sagona è una delle antiche diocesi della Corsica, sorta sulla vecchia città romana.

Della cattedrale rimangono solamente ruderi, interessati da vari scavi archeologici. Del vescovo Appiano non si ha memoria nei documenti, ma si dice che fu esiliato e martirizzato durante le invasioni vandaliche (prima metà del V secolo).

Secondo la tradizione locale, le reliquie sono quelle che sivenerano nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia.

Sant’Appiano monaco

Pavia

Arca di Sant'Agostino (1362), Pavia, San Pietro in Ciel d'Oro

Si festeggia il 4 marzo.
Vissuto tra l’VIII e il IX secolo, nacque in Liguria e fu monaco del monastero benedettino di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia.

Si racconta che il suo abate lo inviò presso le saline di Comacchio a controllare i rifornimenti del monastero. Appiano, oltre a rappresentare gli interessi temporali, si dedicò con gran zelo alla cura delle anime degli abitanti della zona.

Nella diocesi di Ferrara-Comacchio, la chiesa dedicata a questo Santo si trova nella frazione di Marozzo nel comune di Lagosanto, e quando morì, pare che vi fu sepolto, anche se delle sue reliquie non v’è traccia.
Si dice che durante una guerra, furono trafugate e portate via dai pavesi.

Sant’Appiano vescovo e confessore

Pavia

Dipinto di Giovanni Battista Ronchelli, Sacra Famiglia con i Santi Appiano e Agostino vescovi, 1764, chiesa di Sant'Appiano a Castello Cabiaglio

Si festeggia il 9 novembre.
Si racconta che nel 722, quando Liutprando, re dei Longobardi, fece traslare le reliquie di Sant’Agostino (354-430) vescovo d’Ippona (Algeria) dalla cattedrale di Cagliari al monastero di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, vi portasse anche quelle di Sant’Appiano, che evidentemente erano custodite in Sardegna, in quanto confessore seguace del vescovo africano.

Nella chiesa pavese vi era anche una cappella dedicata ad Appiano, sostituita nel XX secolo dall’altare del Sacro Cuore di Gesù, ma non si hanno notizie certe di un sepolcro o reliquiario rilevanti quanto l’Arca di Sant’Agostino, scolpita da maestranze comacine nel 1362.

Il vescovo Appiano di Pavia è venerato anche nella chiesa omonima di Castello Cabiaglio (Varese), in cui si conservano alcune reliquie e numerose opere d’arte settecentescheche lo raffigurano.

Sant’Appiano monaco e confessore di Monteloro

Val d’Elsa

Vista della parete affrescata della pieve di Sant'Appiano

Si festeggia il 6 novembre.
Nel Martirologio di Simone Vespucci (XV secolo), che integra il Martirologio di Usuardo (IX secolo),Sant’Appiano è definito come confessore di origine ligure, monaco inCielo Aureo, festeggiato il 6 novembre (Florentiae Sancti Appiani Confessoris, qui natione Ligur, in Coelo aureo Monachus fuit).

C’è da chiedersi, come già sostenuto da Giovanni Lami (1747) e Giuseppe Maria Brocchi (1752), se non fosse lo stesso Santo pavese oppure se il Vespucci volesse intendere Monte Aureo, l’antico toponimo che indicava il poggio di Sant’Appiano, di cui scriveremo nelle prossime puntate.

Per quanto sia piuttosto difficile sciogliere questi dubbi identificativi, riportiamo due storie significative (una fonte diretta e una indiretta) di quanto fosse diffuso e affermato il culto di questo Santo in Val d’Elsa.

Anno 1605: la scoperta della cripta e delle reliquie di Sant’Appiano in Val d’Elsa

Le notizie riguardanti il nuovo altare maggiore della pieve di Sant’Appiano si ricavano dal Libro di Ricordi del pievano Pier Francesco di Guccio Gucci da Firenze, in carica dal 1611, il quale narra di fatti accaduti al tempo del suo predecessore, Don Francesco Muzzi da Poggibonsi.

Quest’ultimo, nel 1605, decise di rinnovare l’altare maggiore secondo i dettami della Controriforma, per cui si dovettero traslare le reliquie custodite al suo interno. Per seguire l’operazione furono convocati i priori delle chiese suffraganee, due muratori, qualche testimone laico e l’artista responsabile della realizzazione del nuovo altare, Giovanni Battista Nigetti. Tutto fu condotto con scrupolosa religiosità.

Interno della navata centrale della Chiesa di Sant'Appiano con urna del santo ai piedi dell'altare

Atteso il vespro e intonata la preghiera di rito iniziò l’operazione. Non appena fu spostata la mensa dell’altare, fu visibile una cassa di legno intarsiato, avvolta in un candido panno di lino che al contatto con l’ossigeno si annerì e subito si polverizzò. Vi erano conservate varie reliquie: una spina della croce di Cristo, un frammento di velo e alcuni capelli della Madonna, e due crani, di cui uno corredato di ulteriori ossa.

Mancava, però, l’indicazione della loro identità. I prelati sostennero che forse potevano appartenere a San Policarpo e Sant’Appiano, ma il priore di Santa Maria in Castello a Linari, Virgilio Iacometti Cironi, tenne ad evidenziare che la tradizione sosteneva la presenza dei resti mortali di Sant’Appiano dentro una cassetta decorata, e l’altro di San Policarpo.

Tuttavia, il pievano Muzzi volle vederci chiaro, cercava elementi che attestassero la sepoltura e dessero la certezza dell’identità delle ossa. Preso dal fascino dell’indagine, per non lasciar nulla di intentato, fece scavare sotto l’altare in cerca di ulteriori informazioni. Aperto il basamento i signori si imbatterono negli ambienti dell’antica cripta, usata poi come ossario. Contarono più di 100 individui, naturalmente tutti senza nome. Invocando ancora la tradizione, conclusero che si trattasse dei resti mortali dei compagni e discepoli del Santo evangelizzatore. Del resto anche il paliotto dipinto con le storie della vita di Appiano, che decorava il vecchio altare, ormai verosimilmente perduto o distrutto, provava che le reliquie ivi conservate fossero sue.

Del ritrovamento delle ossa senza nome fu informato il Vicario dell’Antella, il quale, non potendone discutere col cardinale Alessandro de’ Medici di Ottaviano, ovvero Papa Leone XI, ordinò di rimettere tutto a posto e di non ritirarle fuori senza formale autorizzazione. Così la cripta restò chiusa per oltre un secolo.

Quindi, per venire incontro alla tradizione del culto locale, quelle ossa senza cartiglio si identificarono con le reliquie di Sant’Appiano. In ogni caso, anche se avessero avuto un nome scritto il risultato non sarebbe cambiato.

La vita di Sant’Appiano secondo Luigi Biadi (1849): tra storia e leggenda

Luigi Biadi, storico erudito originario di Colle di Val d’Elsa ci ha lasciato una gran mole di scritti sulla storia locale dell’area fiorentina valdelsana, che ancora oggi costituisce una base fondamentale a chi si voglia immergere nello studio appassionato del nostro territorio e dei suoi tesori nascosti. Non ha mancato di tramandarci le storie dei santi e beati locali, tra cui il nostro Sant’Appiano, del quale racconta:

Dipinto di un anonimo fiorentino, con San Marziale che battezza Colle di Val d'Elsa, fine del XVI sec. Museo San Pietro Colle

«Nel terzo Secolo dell’ Era Volgare nasceva nella Liguria in prossimità di Genova il povero Appiano. Esercitato alla pescagione per aver pane, inoltravasi al mare toscano, fermava alla riva di Piombino. Ivi le massime evangeliche partecipate ai Popoli dal dottissimo Marziale vescovo di Limoges [ndr: patrono di Colle di Val d’Elsa] , talvolta interposte da elogio sulle virtù di Policarpo vescovo di Smirne, produssero non tanto lo slancio di Appiano in braccio alla Fede di Gesù Cristo rigenerandosi nell’acque battesimali da quel sacro Pastore, quanto la di lui ispirazione di conoscere Policarpo. Disprezzati pertanto i pericoli di lungo tragitto, vinti i timori delle pagane persecuzioni, passava a Smirne. Ma Policarpo dalla mano crudele degli infedeli avea (nell’anno 169 sotto Marco Aurelio) perduta la vita, ed il suo corpo era stato dalle fiamme distrutto. Appiano n’ebbe riscontro. Inoltratosi al posto dei martirizzati, bagna la terra delle carneficine con lacrime di tenerezza, trova la recisa testa del Santo vescovo incolume dal fuoco, la raccoglie, e con la preziosa reliquia torna alla spiaggia di Piombino, perviene al Castello di Monteloro in Val d’Elsa. Là pubblica incessantemente la dottrina di Cristo, nelle vicine selve conduce vita di perfezione ed anco eremitica».

Secondo il Biadi visse tra il 223 e il 298. Appiano, di fede cristiana, fuggì da una Genova ancora abitata da pagani che lo inseguirono con «navigli grossi» mentre lui solcava le acque con la sua «piccola barchettuccia», come dice Giuseppe Maria Brocchi, in direzione di Piombino.

Dettaglio di un dipinto di Agostino Ciampelli, San Policarpo di Smirne, nella chiesa del Gesù, Roma

Rifugiatosi coi suoi discepoli a Monteloro, ovvero a Sant’Appiano, condusse una vita cenobitica predicando e battezzando le genti, facendo opere buone e altri miracoli, che dovevano essere dipinti sul paliotto del vecchio altare, in cattivo stato di conservazione già nel XVIII secolo.
Pare che trovasse rifugio nelle grotte sotterranee scavate nel tufo nei pressi di Monteloro.

La sua fama rese così celebre il luogo, che molti fedeli volevano farvisi seppellire, anche se provenienti da città piuttosto lontane, come Volterra e San Gimignano.

Un grazie di cuore a Don Soave e ai volontari della Pieve di Sant’Appiano per la disponibilità e l’aiuto nel reperire informazioni e materiali anche in questo strano periodo di pandemia.

La toponomastica: Sancta ad Planum

L’evangelizzatore della Val d’Elsa, a detta di un pievano del secolo scorso, Mons. Ferradino Fiorini, non avrebbe dato il nome alla chiesa, bensì lo avrebbe ricevuto dal luogo stesso: Sancta ad planum → Sant’Alpiano → Sant’Appiano, che significa: “le cose sacre sul piano”, con riferimento a un sacello o tempio pagano in posizione rilevante dal punto di vista geologico, ovvero un terreno piano sopraelevato.

Nel Martirologio di San Lucchese era menzionato il Sant’Appiano ligure, asceso al cielo il 6 novembre, monaco in Ciel d’Oro (Pavia), probabilmente confuso con Mons Aureus, antico toponimo del paese odierno di Sant’Appiano in Val d’Elsa. Monte aureo, o Monte d’oro, o Monteloro deriva dall’aspetto della natura circostante, caratterizzata da pianori e costoni tufacei di colore ambrato, ovvero dorato. Nella toponomastica non si trova “Sancta ad planum”, se non in una carta dell’Istituto degl’Innocenti del XVI secolo, in cui il luogo viene indicato con «Sant’Alpiano».

Nel dizionario geografico di Emanuele Repetti si trova un altro caso assimilabile al nostro per natura topologica: Appiano in Val d’Era (Ponsacco), nei documenti denominato Ad Planum, era un villaggio medievale fornito di pieve e battistero, rispettivamente dedicati a Santa Maria e San Giovanni Battista, distrutto nel XII secolo durante una guerra tra Pisa e Lucca. Nel trattato di pace del 1175 quest’ultima chiese la ricostruzione di varie pievi, tra cui questa, che ebbe vita difficile. Nel 1341, saccheggiata e distrutta dai fiorentini, fu abbandonata e nel 1440 fonte battesimale e campana furono trasferiti nella più recente Ponsacco (chiesa di San Giovanni Evangelista).

Concludendo e tornando alla nostra Val d’Elsa, ancora nel XV secolo convivevano i due toponimi: Monteloro e Sant’Appiano ed è verosimile credere che il primo indicasse il luogo abitato e il secondo la chiesa.

È verosimile pensare che un toponimo abbia dato il nominativo a un santo evangelizzatore di cui si era dimenticato il nome e che questa ridenominazione avvenisse in un’epoca poco documentata come quella longobardo-carolingia, in cui nel contado fiorentino si stava ricostituendo quella rete di pivieri che ricalcavano le circoscrizioni territoriali romane.

Sant’Appiano e i Longobardi

Parte di un affresco dei Fratelli Zavattari, Matrimonio di Teodolinda e Agilulfo, Duomo di Monza, 1444

È evidente che la storia del Sant’Appiano valdelsano, vissuto nel III secolo secondo la tradizione tramandata da Luigi Biadi, non collima con quella dell’omonimo Santo monaco di Comacchio vissuto tra l’VIII e il IX secolo. Tuttavia, le origini della chiesa e del battistero affondano le radici proprio in quell’epoca, quando a Firenze i luoghi del cristianesimo ariano, confessione praticata dai longobardi, avevano acquisito una certa rilevanza, ovvero la basilica di Santa Reparata (attuale Duomo di Santa Maria del Fiore) e il battistero di San Giovanni.

Proprio il Battista era stato scelto dalla regina Teodolinda come Santo protettore del suo popolo.

Le osservazioni di Giovanni Lami (1747) e di Giuseppe Maria Brocchi (1752) intorno a Sant’Appiano convergono sul fatto che il culto locale potesse essere stato importato dal popolo longobardo nella città di Firenze. A Pavia, capitale settentrionale del Regno Longobardo, Sant’Appiano era venerato nel monastero di San Pietro in Ciel d’Oro, mentre a Firenze, gli stessi monaci pavesi, intitolarono una chiesa a San Pier Celoro , della quale mantennero il beneficio fino al 1448, quando papa Niccolò V la cedette al Capitolo dei Canonici (attuale Archivio Capitolare). Di conseguenza è plausibile che vi si importasse anche il culto di Sant’Appiano, in seguito si diffusosi nel contado.

Vuoi approfondire?

Per conoscere meglio il rapporto tra l’architettura dell’area padano-lombarda e Sant’Appiano in Val d’Elsa, ecco l’intervista che Alice Chiostrini ha fatto al prof. Massimo Tosi in proposito.

BIBLIOGRAFIA

  1. M. BROCCHI, Vite de’ Santi e beati fiorentini, Firenze 1742-1761, 4 voll.
  2. LAMI, Novelle letterarie pubblicate in Firenze l’anno 1747, Firenze 1747.
  3. LASTRI, Descrizione d’una parte della Valdelsa, Firenze 1775
  4. REPETTI, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, Firenze 1833-1846, 6 voll.
  5. BIADI, Memorie del piviere di S. Pietro in Bossolo e dei paesi adiacenti nella Valle d’Elsa, Firenze 1848.
  6. BIADI, Della pieve di S. Appiano in Valdelsa notizie istoriche, Firenze 1855.
  7. Sant’Appiano, un’antica pieve in Val d’Elsa, atti e documenti a cura di Mons. F. FIORINI, Firenze 1987.

SITOGRAFIA

  • www.santiebeati.it
  • www.beweb.chiesacattolica.it
  • www.monumentum.fr8

Rispondi