Il giallo del Santo “senza nome” – parte 3

Veduta del piazzale antistante la pieve di Sant'Appiano, Barberino Tavarnelle

La toponomastica: Sancta ad Planum

L’evangelizzatore della Val d’Elsa, a detta di un pievano del secolo scorso, Mons. Ferradino Fiorini, non avrebbe dato il nome alla chiesa, bensì lo avrebbe ricevuto dal luogo stesso: Sancta ad planum → Sant’Alpiano → Sant’Appiano, che significa: “le cose sacre sul piano”, con riferimento a un sacello o tempio pagano in posizione rilevante dal punto di vista geologico, ovvero un terreno piano sopraelevato.

Come si è visto nella prima puntata nel Martirologio di San Lucchese era menzionato il Sant’Appiano ligure, asceso al cielo il 6 novembre, monaco in Ciel d’Oro (Pavia), probabilmente confuso con Mons Aureus, antico toponimo del paese odierno di Sant’Appiano in Val d’Elsa. Monte aureo, o Monte d’oro, o Monteloro deriva dall’aspetto della natura circostante, caratterizzata da pianori e costoni tufacei di colore ambrato, ovvero dorato. Nella toponomastica non si trova “Sancta ad planum”, se non in una carta dell’Istituto degl’Innocenti del XVI secolo, in cui il luogo viene indicato con «Sant’Alpiano».

Nel dizionario geografico di Emanuele Repetti si trova un altro caso assimilabile al nostro per natura topologica: Appiano in Val d’Era (Ponsacco), nei documenti denominato Ad Planum, era un villaggio medievale fornito di pieve e battistero, rispettivamente dedicati a Santa Maria e San Giovanni Battista, distrutto nel XII secolo durante una guerra tra Pisa e Lucca. Nel trattato di pace del 1175 quest’ultima chiese la ricostruzione di varie pievi, tra cui questa, che ebbe vita difficile. Nel 1341, saccheggiata e distrutta dai fiorentini, fu abbandonata e nel 1440 fonte battesimale e campana furono trasferiti nella più recente Ponsacco (chiesa di San Giovanni Evangelista).

Concludendo e tornando alla nostra Val d’Elsa, ancora nel XV secolo convivevano i due toponimi: Monteloro e Sant’Appiano ed è verosimile credere che il primo indicasse il luogo abitato e il secondo la chiesa.

È verosimile pensare che un toponimo abbia dato il nominativo a un santo evangelizzatore di cui si era dimenticato il nome e che questa ridenominazione avvenisse in un’epoca poco documentata come quella longobardo-carolingia, in cui nel contado fiorentino si stava ricostituendo quella rete di pivieri che ricalcavano le circoscrizioni territoriali romane.

Sant’Appiano e i Longobardi

Fratelli Zavattari, Matrimonio di Teodolinda e Agilulfo, Duomo di Monza, 1444

È evidente che la storia del Sant’Appiano valdelsano, vissuto nel III secolo secondo la tradizione tramandata da Luigi Biadi, non collima con quella dell’omonimo Santo monaco di Comacchio vissuto tra l’VIII e il IX secolo. Tuttavia, le origini della chiesa e del battistero affondano le radici proprio in quell’epoca, quando a Firenze i luoghi del cristianesimo ariano, confessione praticata dai longobardi, avevano acquisito una certa rilevanza, ovvero la basilica di Santa Reparata (attuale Duomo di Santa Maria del Fiore) e il battistero di San Giovanni.

Proprio il Battista era stato scelto dalla regina Teodolinda come Santo protettore del suo popolo.

Le osservazioni di Giovanni Lami (1747) e di Giuseppe Maria Brocchi (1752) intorno a Sant’Appiano convergono sul fatto che il culto locale potesse essere stato importato dal popolo longobardo nella città di Firenze. A Pavia, capitale settentrionale del Regno Longobardo, Sant’Appiano era venerato nel monastero di San Pietro in Ciel d’Oro, mentre a Firenze, gli stessi monaci pavesi, intitolarono una chiesa a San Pier Celoro , della quale mantennero il beneficio fino al 1448, quando papa Niccolò V la cedette al Capitolo dei Canonici (attuale Archivio Capitolare). Di conseguenza è plausibile che vi si importasse anche il culto di Sant’Appiano, in seguito si diffusosi nel contado.

Come vedremo quando approfondiremo ulteriormente le ricerche sul tema, il rapporto tra area padano-lombarda e Sant’Appiano in Val d’Elsa è molto stretto e riguarda la parte più materiale della sua storia: l’architettura.

Autori: Alice Chiostrini, Giacomo Cencetti

BIBLIOGRAFIA PER TUTTI GLI ARTICOLI

  1. M. BROCCHI, Vite de’ Santi e beati fiorentini, Firenze 1742-1761, 4 voll.
  2. LAMI, Novelle letterarie pubblicate in Firenze l’anno 1747, Firenze 1747.
  3. LASTRI, Descrizione d’una parte della Valdelsa, Firenze 1775
  4. REPETTI, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, Firenze 1833-1846, 6 voll.
  5. BIADI, Memorie del piviere di S. Pietro in Bossolo e dei paesi adiacenti nella Valle d’Elsa, Firenze 1848.
  6. BIADI, Della pieve di S. Appiano in Valdelsa notizie istoriche, Firenze 1855.
  7. Sant’Appiano, un’antica pieve in Val d’Elsa, atti e documenti a cura di Mons. F. FIORINI, Firenze 1987.

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